“ti ritraggo meglio in aprile/ in uno dei nostri inferni moderatamente soleggiati/ coi piccoli fallimenti delle passioni raccontati come vita leggendaria./ Potevo sentire tutto il tuo struggimento per le cose inutili/ per i labirinti in cui da sempre ti ritrovi/ per l’ossessione che coltivi da anni per il cinema tedesco/ e per il mio immaginario che da sempre tratti come ospite malato o come/ sradicato soccombente alla Bernhard/ (di cui ti vanti sempre di possedere quasi tutto)./ Stendo grandi quantità di colore per la lista dei tuoi interpreti/ per i manifesti delle tue scene interiori/ per fermare i tuoi strilli sulla tela e i pantaloni a fiori che ti alzavano il culo/ quando qualcuno ti aveva immaginato femmina inventandosi un mondo.” (A D. Che ha imparato a restar vivo)
Questa poesia è tratta da Lettera a D. di Alessandro Assiri (LietoColle, 2016), e da sola può anche bastare per farci comprendere il valore di questa nuova discesa nella poesia di questo autore che ama vivere tra Trento e Parigi.
In questo suo nuovo libro “Assiri viaggia sicuro tra le sue ( e nostre) inquietudini, con l’ironia ma anche il pathos di chi la sa lunga e ha il gusto di raccontarla.”