di Antonio Fusco
Etimologicamente il termine Quaresima deriva dal latino “quadragesima dies”, e nella liturgia cristiana indica il periodo di penitenza e astinenza di quaranta giorni a partire dal mercoledì delle Ceneri. Nel determinare la durata della Quaresima hanno un simbolismo centrale i giorni, che Gesù passò, digiunando nel deserto, ma il numero quaranta ricorre frequentemente nelle Sacre Scritture, sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento, quale cifra emblematica, significante, tra l’altro, un periodo di sofferenza o di attesa. Delle 83 citazioni ricordiamo in particolare:
– i giorni del diluvio universale
– quelli passati da Mosè sul monte Sinai e gli anni trascorsi nel deserto dagli Ebrei prima di raggiungere la terra promessa;.
– i giorni impiegati dagli esploratori ebrei per esplorare la terra in cui sarebbero entrati e quelli di cammino del profeta Elia per giungere al monte Oreb;
– il tempo che, nella predicazione di Giona, Dio dà a Ninive prima di distruggerla;
– i colpi di frusta che prevedeva la flagellazione, secondo la legge mosaica;
– le ore che intercorrono tra la morte di Gesù. il venerdì alle quindici, fino alla sua Risurrezione;
– il periodo in cui i catecumeni vivono l’ultima preparazione al loro battesimo.
Il numero inoltre, ha dato il nome anche alla “quarantena” il periodo di isolamento di persone sospettate di essere colpite da malattie infettive, nonché al numero dei ladroni di Alì Babà.
La Quaresima nel rito cattolico inizia il mercoledì delle Ceneri e termina il mercoledì Santo. In tale periodo la Chiesa invita alla conversione a Dio e sollecita pratiche tipiche, quali il digiuno, l’astinenza dalla carne, la penitenza, la preghiera e la carità. È un cammino che prepara alla celebrazione della Pasqua, che è il culmine delle festività cristiane.
Tra le tradizioni locali il periodo della Quaresima è stato quello che nell’Agro Nolano ha visto alquanto ridimensionate, ma non del tutto eliminate, alcune ritualità popolari. Una volta, nel mercoledì delle Ceneri, il primo dei quaranta giorni quaresimali, c’era l’usanza di mangiare i broccoli di rapa, quelli che dalle nostre parti vanno sotto il nome di friarielli, che facevano da contorno al baccalà o ad altro pesce povero ( alici, sarde, sgombri), cucinato in vari modi. Il menù penitenziale di magro era più o meno rispettato fino a Pasqua, ma per molti durava tutto l’anno.
Nell’ ambito della religiosità si rispettavano alcune regole tra le quali ricordiamo l’uso della troccola, oggi desueta nell’Agro, ma ancora utilizzata in molte località meridionali. Si tratta di uno strumento musicale a percussione composto di una tavola di legno con impugnatura, sulla quale sono installate mobili maniglia di ferro. Agitandola ritmicamente le applicazioni metalliche, percuotendo la superficie di legno producono un rumore caratteristico. Anche a Nola era usata per richiamare i fedeli a frequentare le funzioni religiose quando nei giorni quaresimali non era consentito suonare le campane, che, come si diceva, erano legate. La radice etimologica di troccola si fa risalire al termine greco trokòs, “ruota”, oppure allo strumento latino Crotalum, composto da due valve di legno o ferro, a sua volta derivato dal greco krotalon, che ha dato il nome anche al Crotalo, il serpente a sonagli.
Per la Quaresima la “Pro Loco Nola Città d’Arte”, ha concordato da qualche anno di dare ampio spazio alla valorizzazione del folcloristico pupazzo della Quaravesema, una tessera nel mosaico delle tradizioni popolari di identità etnica, ancora mantenuta non solo in molte località dell’Agro Nolano, ma soprattutto in altre parti della Campania e di tutta l’Italia Meridionale.
Nola – Pupazzo della Quaravesema (2017)
Poiché la funerea bambola vestita a lutto in molte regioni meridionali regge i fuso, potrebbe essere la riduzione ad unum di un’atavica iconografica greca delle tre Parche, Cloto, Lachesi e Atropo che filavano, tessevano e interrompevano il destino degli uomini. In particolare Cloto era raffigurata reggente un fuso, elemento che si riscontra anche in molte pupattole della Quaravesima. Si tratterebbe, pertanto di un processo in chiave cristiana di demotivazione e di inculturazione iconografica, mirante a dare nuovi contenuti a rappresentazioni figurative pagane. L’ipotesi può essere plausibile se teniamo conto di altre trasposizioni consimili. La Madonna del Granato venerata a Capaccio (SA) ricalca l’immagine di Giunone a Paestum, cui era sacra la melagrana (granato). Il dio Mitra, venerato nelle grotte e rappresentato con mantello svolazzante mentre sovrasta e sacrifica alla Madre Terra un toro con grandi corna, richiama espressivamente la figura alata di San Michele, anche lui innegabilmente venerato nelle grotte, che calpesta con i calzari e trafigge Satana nelle sembianze di un demone con le corna, in un’impostazione iconografica di mitraica reminiscenza. Certo è che le paganeggianti e tetre sembianze della Quaravesema create dalla fantasia popolare sono diventate per i Cristiani metafora di rinunce, privazioni e astinenze, ma anche di domestica operosità femminile, cui allude il fuso.
Locorotondo (Bari) – Quaravesema con il fuso
Riferite alla Quaresima, sempre nell’Italia centro-meridionale sono diffuse molte filastrocche, spontanee creazioni del volgo, che mirano a puntualizzare il digiuno, la povertà dei cibi e l’astinenza dalla carne. Queste si avvalgono di un linguaggio dialettale a volte colorito, di un ritmo cadenzato, di rime, assonanze e consonanze, che ne facilitano la memorizzazione.
Tra le tante meridionali ci piace ricordare quella di Agnone nell’Alto Sannio:
Quarésema puverèlla,
cu na péscia e na sardèlla,
nu scuocchiere de cipolle
e nu pejette de fafe a mollo
Anche nell’Agro Nolano se ne recitano alcune ispirate al pupazzo della Quaresima.
A Nola se ne contano due:
“Quaravesema quarantana
sette dummeneche e sei semmane”.
2
Quaravesema secca, secca,
damme ‘nu sordo ‘e fiche secche,
e si nu’ mme ddaje bbone,
Quaravesema mariola”.
Con immagini differenti, ma simili nel contenuto “penitenziale” del menù, altre tiritere, non prive di ironia, si riscontrano in centri del comprensorio geografico di Nola, dove si continua ad allestire ed appendere la Quaravesema.
Anche a Lauro ce ne sono due:
1
“Quaravesema secca secca,
cu’ ‘na sporta ‘e fiche secche,
cu’ ‘na sporta ‘e ruoccole ‘e rapa.
Quaravesema ‘nzuccarata”.
2
Quaravesema secca secca
se mangiava e fiche secche;
le ricette dammene una
me chiavave nu cavece ‘n culo,
le ricette dammene nata
me chiavave ‘na zucculata.
Quella di Marigliano così suona:
“Quaravesema secca e longa,/
s’ha mangiato ‘e pacche longhe (carrube),
cu’ ‘na puca (lisca di pesce) ‘e baccalà
Quaravesema, che scialà!;
A Quindici ce ne hanno segnalate due. La prima ricalca quella di Marigliano con una variente nel verso finale.
1
Quaravesema secca e longa
se mangiava ‘e pacche longhe;
pe’ na puca ‘e baccalà
nu’ potette chiù parlà.
2
Quaravesema birbante
‘a pòzzane accirere quanno vene
che magnà buono nu tene
che saràche e baccalà;
prieste prieste curr’ ‘a terra
a fa’ ‘a rapesta e ‘o vrucculillo
‘mbaccio ‘o fuoco volle sempe
chillu bellu fasulillo
Tranne che per un verso anche quella di Visciano ricalca la filastrocca di Lauro, A Lauro abbiamo: me chavave nu cavee ‘n culo, a Visciano: me menaje lu trapanature.
“Quaravesema secca secca /
se mangiaje a ficusecca.
le ricette dammene una /
me menaje lu trapanature
le ricette dammene nata
me menaje na zucculata”.
Come si capisce, con tali vivande, fatte di fichi secchi, fagioli, rape, fave, broccoli, carrube, pesce azzurro e la parte centrale delle “scelle” di baccalà, quella con la lisca e meno costosa, c’era poco da stare allegri e da scialare.