La solennità annuale di Pasqua si celebra nell’estensione dei tre giorni del Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto. Il Triduo – è importante sottolinearlo – non è una preparazione alla Pasqua ma è la solennità della Pasqua che viene celebrata nei tre giorni, i quali hanno la stessa importanza e solennità liturgica. Tale continuità viene rimarcata dall’assenza del congedo al termine delle celebrazioni maggiori del Triduo, in modo quasi da porre l’assemblea cristiana in stato di permanente convocazione liturgica a partire dalla Messa “in Cena Domini” (del Giovedì Santo) fino al termine delle celebrazione nella notte pasquale. L’identica solennità non è facilmente colta per il fatto che i primi due giorni del Triduo sono socialmente giorni feriali, un tempo invece erano festivi. Il Triduo presenta un carattere di profonda unità e insieme di evidente distinzione dei tre giorni santi. Se da un lato il Mistero pasquale di morte e risurrezione è per sua natura indissociabile, per cui il tempo pasquale rappresenta un’unica grande solennità, dall’altro, questo medesimo Mistero è stato operato dal Signore nel tempo distinto dei “tre giorni”, annunziati dalle profezie e predetto dal Signore stesso.
La struttura del Triduo pasquale si basa sulla cronologia dei fatti della Pasqua, ossia delle medesime “ore” nelle quali il Signore compì il mistero della nostra redenzione. La coerenza con queste ore, desunte dai Vangeli, garantisce la sussistenza stessa del Triduo pasquale. La Chiesa celebra quindi i momenti liturgici più densi del Triduo pasquale in consonanza con tre grandi “ore”:
– l’ora della cena pasquale,
– l’ora della morte in croce,
– la notte della risurrezione, “quella notte beata che sola ha meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto” (Messale romano).