a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 4 febbraio si celebra san Giuseppe da Leonessa (al secolo Eufranio Desideri), nacque a Leonessa (Rieti) l’8 gennaio 1556, al battesimo ricevette il nome di Eufranio, dal significato molto bello: portatore di gioia. A 13 anni Eufranio rimase orfano di entrambi i genitori. Si occuparono di lui le sorelle e lo zio paterno, di professione maestro. Questi mandò Eufranio a studiare prima a Viterbo nel 1569, poi a Spoleto, dal 1571, dove Eufranio maturò la sua vocazione religiosa. Il 3 gennaio 1572 entrò nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, nel convento cappuccino delle Carceri ad Assisi, completando la propria formazione a Spoleto e a Perugia. Il 24 settembre 1580 venne ordinato sacerdote ad Amelia, con il nome di fra Giuseppe da Leonessa, ed iniziò il suo fecondo apostolato tra le popolazioni dell’Umbria, dell’Abruzzo e del Lazio. Ma nel 1587, alla notizia della morte per peste dei gesuiti mandati in missione a Costantinopoli da papa Gregorio XIII e della loro imminente sostituzione con dei cappuccini, Giuseppe chiese di entrare nel gruppo di quei missionari. Ottenne da papa Sisto V il permesso di recarsi a Costantinopoli per assistere i cristiani fatti prigionieri. Cominciò allora predicare Cristo per le strade e alle entrate delle moschee, cercò anche di convertire il sultano Murād III che, presolo per pazzo, lo scacciò via dalla sua presenza facendolo condannare al crudele e doloroso supplizio del gancio, consistente nella sospensione a un patibolo con due uncini conficcati in una mano e in un tallone. Resistette tre giorni, dopodiché la pena fu commutata con l’espulsione da Costantinopoli, pare in seguito all’intervento della favorita del sultano, Safiyye Sultān, di origine cristiana. Segnato dalle stigmate del martirio, fece ritorno in Italia e, nel mese di dicembre del 1589, dopo essere stato ricevuto da Sisto V, riprese la sua attività apostolica, si recò in autunno ad Assisi per un periodo di riposo. Iniziò il suo girovagare per il centro della nostra penisola arrivando a predicare fino a 6-8 volte al giorno. I miseri, gli abbandonati, la gente dispersa dei paesini montani, i pastori che vivevano lontani, erano oggetto delle sue attenzioni e delle sue premure, anche attraverso l’istituzione dei monti frumentari per combattere la piaga dell’usura, pure a quel tempo molto diffusa, ed assicurare loro la sussistenza. Si fece letteralmente tutto a tutti. Nel mese di ottobre 1611 predicò per l’ultima volta a Campotosto (Aquila). Tornò al convento di Amatrice appoggiandosi al suo bastone. Era minato da un male incurabile che ben presto lo avrebbe condotto alla tomba. Si recò a Leonessa alla fine del mese, restandovi circa dieci giorni: era l’ultimo incontro con i parenti, con la sua patria di origine. Il male peggiorava di giorno in giorno, le forze gli venivano meno. Ritornò al convento di Amatrice dove i medici gli diagnosticarono un tumore all’inguine, per il quale, dopo due inutili interventi, morì il 4 febbraio 1612.
4 febbraio: santa Maria de Mattias, nacque a Vallecorsa (Frosinone) il 4 febbraio 1805, fu battezzata con il nome Maria Metilde. Ricchezza e cultura non mancavano nella sua famiglia, anche se alle donne era negato studiare, come pure una profonda fede cristiana. Attraverso le chiacchierate con il papà ella apprese e interiorizzò non solo le verità della fede, ma soprattutto episodi e figure della Sacra Scrittura che egli le leggeva sin dalla tenera età, e sviluppò un grande amore a Gesù. Nel 1822, quando Maria aveva 17 anni, san Gaspare Del Bufalo andò a predicare a Vallecorsa una missione popolare e la giovane vide il paese trasformato. Fu in quella occasione che nel suo cuore nacque il sogno di fare come lui. Sotto la guida di un compagno di san Gaspare, il Venerabile Don Giovanni Merlini, ella fondò, il 4 marzo 1834, all’età di 29 anni, la Congregazione delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo in Acuto (Frosinone), ispirandosi anche all’opera di san Gaspare del Bufalo. Maria, però, che si portava dentro il sogno della riforma della società e del mondo, non si limitò alla scuola, ma radunò mamme e giovani per catechizzarle, per innamorarle di Gesù ed educarle a vivere cristianamente, secondo il proprio stato. Gli uomini a cui non poteva parlare, secondo il costume del tempo, andavano spontaneamente ad ascoltarla ed anche di nascosto; i pastori, abbandonati a sé stessi chiesero di essere istruiti da lei e per di più dopo il calar del sole; la gente accorreva alle funzioni sacre per ascoltare la maestra. Questo ardore coinvolse molte giovani e, attraverso di loro, Maria poté aprire molte comunità, quasi tutte in piccoli paesi abbandonati del Centro Italia, fatta eccezione di Roma in cui fu chiamata dallo stesso papa Pio IX per l’Ospizio di San Luigi e per la Scuola di Civitavecchia. Tutto questo non le fece risparmiare fatica; non si abbatté nelle contrarietà; operò sempre in profonda comunione con la Chiesa locale, quella universale e per amore di essa. Morì a Roma il 20 agosto 1866.
4 febbraio: sant’Andrea Corsini, nacque a Firenze il 30 novembre 1301, di nobili natali, era appartenente alla famiglia dei Corsini. Dopo una giovinezza dissoluta maturò la decisione di diventare frate carmelitano e nel 1318 fu ammesso, a 15 anni, al noviziato nel convento del Carmine di Firenze: nel 1328 fu ordinato sacerdote e inviato a Parigi ad approfondire gli studi teologici e filosofici; fu poi ammesso alla corte pontificia di Avignone. Nel 1332 tornò a Firenze dove fu eletto priore del locale convento carmelitano: nel 1349, il capitolo della cattedrale lo elesse vescovo di Fiesole incarico che, seppur riluttante, finì per accettare. Come vescovo volle vivere a Fiesole, rinunciando al comodo palazzo fiorentino che era stato sede dei suoi predecessori. Manifestò singolare zelo nella predicazione, nella preghiera, nell’austerità, nella visita alle parrocchie, nella difesa della libertà della Chiesa contro soprusi e ingerenze, come pure nella carità verso gli umili e i diseredati. Speciale cura dedicò ai suoi preti, precorrendo i dettami del Concilio di Trento, stabilendo precise norme circa il reclutamento e la preparazione culturale e spirituale dei candidati al presbiterato. Si dedicò anche con diligenza all’amministrazione dei beni ecclesiastici, disponendo ingenti somme per la costruzione e il restauro di chiese e monasteri e soprattutto della cattedrale e dell’episcopio, da secoli in stato di abbandono. Ebbe difficili incarichi dalla Santa Sede, come quando fu inviato da papa Urbano V come legato pontificio a Bologna, nel 1368, dove si dedicò alla pacificazione delle fazioni cittadine in lotta tra loro. Cadde malato mentre celebrava la messa di Natale del 1373. Morì nel giorno dell’Epifania il 6 gennaio 1374.
4 ottobre: servo di Dio Giuseppe Ottone, nacque a Castelpagano (Benevento) il 18 marzo 1928 da genitori ignoti, la giovane levatrice del paese (ostetrica), provvide a registrarlo all’Ufficio anagrafe il 23 dello stesso mese, con il nome di Giuseppe Italico. Il Comune provvide a farlo accogliere nel Brefotrofio Provinciale di Benevento. In seguito si saprà che Giuseppe era il frutto di una relazione extraconiugale, di una donna di Castelpagano, il cui marito era emigrato in Argentina, da cui non tornerà più, anche perché aveva saputo della duplice infedeltà della moglie, perché oltre il bambino, ella ebbe in seguito anche una figlia. Inoltre la coppia aveva già un bambino legittimo e la donna dopo essere rimasta incinta, voleva abortire, ma una amica di famiglia la convinse a portare avanti la gravidanza; la stessa amica diverrà madrina di battesimo del neonato. Giuseppe non restò per molto al Brefotrofio di Benevento, perché il 22 novembre 1928, venne affidato ai coniugi Ottone Domenico e Maria Capria di Benevento, i quali non avendo figli e per un voto fatto, avevano richiesto un bambino da allevare con amore e da poter crescere come figlio loro. Nel timore, che la madre naturale avrebbe potuto reclamare un giorno il figlio, i coniugi decisero di trasferirsi a Napoli e da lì a Torre Annunziata. Giuseppe (da tutti chiamato Peppino) cresce sincero, deciso, ricco di qualità e di virtù; va volentieri a scuola senza mostrarsi mai scontento, disciplinato, armonioso con tutti; prima di entrare a scuola va in chiesa, non importandosi delle prese in giro dei compagni, per una breve visita a Gesù nel Tabernacolo. Dal 1934 frequenta fino al 1939, la Scuola Elementare, poi viene ammesso all’Istituto Tecnico Commerciale “Ernesto Cesàro”, dove si distinse per gli ottimi voti. Anima sensibile e buona, Peppino fu di grande conforto alla madre adottiva, specialmente quando ella doveva sopportare la angherie del marito, spesso ubriaco e violento, e il suo amore verso i più deboli si manifestò anche nella carità, che faceva di nascosto con i suoi risparmi o dando la sua stessa merenda ai poveri; per questo si instaurò fra madre e figlio una intesa di anime sensibili, costruttori ambedue di una storia d’amore filiale molto intensa. Il 26 maggio 1935 fece la sua Prima Comunione, unitamente al proposito di farsi santo. Si recava spesso in bicicletta alla vicina Pompei, per pregare davanti alla Vergine del Rosario, di cui era molto devoto. Gli piaceva leggere libri di avventura, che scambiava con gli amici, e sognava da grande di fare l’Ufficiale di Marina. Il 26 giugno 1940, con decreto del Tribunale, assunse il cognome degli Ottone, divenendo, di fatto, loro figlio. Nel 1941 Maria Capria dovette ricoverarsi a Napoli per subire un duplice e delicato intervento chirurgico, Giuseppe, che era molto legato alla mamma, rimase molto turbato e pregava incessantemente per lei. Il 3 febbraio, mentre si reca al doposcuola con altri compagni, trovò per terra un’immagine della Madonna di Pompei e, raccoltala da terra, esclamò: «Madonna mia, se deve morire mamma, fai morire me». Poco dopo, divenuto pallido, cadde svenuto a terra, e fu soccorso dagli amici e da un vigile urbano, che lo portò all’ospedale dove giunse in stato di incoscienza. Lasciata Napoli, senza subire l’operazione, la madre corse al capezzale del figlio e lo vegliò tutta la notte recitando il rosario, con i capelli diventati tutti bianchi per il dolore. Peppino, senza riprendere conoscenza, morì il 4 febbraio 1941 a quasi 13 anni; il suo sacrificio offerto per la mamma tanto amata, fu accettato dal Signore, la madre guarita istantaneamente, continuò a vivere in buona salute fino ad 88 anni.