19 dicembre: san Berardo di Teramo, nacque a Pagliara di Isola del Gran Sasso d’Italia (Teramo) nell’XI secolo, dalla nobile famiglia dei Pagliara, nell’omonimo castello situato nei pressi di Isola del Gran Sasso. I Pagliara avevano il titolo di conti, ereditato, forse, dai più antichi conti dei Marsi, e dominavano nella Valle Siciliana o Siliciana, che abbracciava un vasto territorio sotto il Gran Sasso. Alcuni dati essenziali sulla sua vita, come la donazione dei beni personali alla Chiesa, l’inizio del mandato episcopale e la data della morte, si trovano documentate nel Cartulario della Chiesa Aprutina. Presso il castello di Pagliara esisteva il monastero benedettino del Santissimo Salvatore: di qui la vocazione benedettina di Berardo. Da Montecassino, dove aveva iniziato la vita monastica ed era divenuto sacerdote, Berardo, desideroso di maggiore raccoglimento, si ritirò nel celebre monastero di San Giovanni in Venere, in Abruzzo, del quale era stato abate un Odorisio, suo parente, elevato poi agli onori della porpora da Alessandro II. Alla fine del 1115, morto Uberto, vescovo di Teramo, in virtù della fama di santità che lo accompagnava, fu chiamato a succedergli come pastore della Chiesa aprutina. Fece il suo ingresso nella chiesa cattedrale di Santa Maria Maggiore e rivestì questo incarico per sette anni a partire dal 1116, indirizzando la propria attività al soccorso dei poveri e alla pacificazione dei contrasti esistenti tra le fazioni cittadine, riformatore zelante, oltre che principe feudale giusto e prudente. Dopo aver adempiuto al suo ufficio con singolare semplicità di animo, pietà e carità di pastore, Berardo morì nell’anno 1123, settimo del suo episcopato.
19 dicembre: beato Urbano V (Guillaume de Grimoard), 200° papa della Chiesa Cattolica; nacque a Le Pont-de-Montvert (Francia) intorno al 1310, nel Castello di Grisac, da nobile famiglia, era entrato, in giovanissima età, tra i benedettini del priorato di Chirac, quindi teologo insigne e dottore in diritto canonico. Studiò diritto canonico e civile, insegnò successivamente nelle università di Montpellier, Tolosa e Avignone, prima di ricevere dalla curia pontificia vari incarichi in qualità di delegato a Milano e a Napoli, dove lo raggiunse la nomina a pontefice. Eletto al soglio pontificio il 28 settembre 1362, succedendo a Innocenzo VI, pur non essendo né cardinale né vescovo. Fu consacrato vescovo ad Avignone il 6 novembre 1362, lo stesso giorno cingeva la tiara col nome di Urbano V. Questo papa attivissimo e pio mostrò subito di possedere le doti dell’uomo di governo e mano ferma nella guida della barca di Pietro, in un epoca così difficile per la vita interna della Chiesa. Severo e ligio alla disciplina, pose freno alla pompa e al lusso dei cardinali, introdusse notevoli riforme nell’amministrazione della giustizia e fu un patrono liberale degli studi. Segno distintivo del pontificato di Urbano V fu lo sforzo di riportare la Santa Sede in Italia e sopprimere i potenti rivali alla sovranità temporale che vi si trovavano. Nel 1366 Urbano aveva deciso e aveva perfino dato ordine al suo vicario a Roma di allestirgli l’appartamento nel palazzo pontificio per il suo ritorno a Roma. La voce non si era sparsa solo a Roma: buona parte dell’Italia esultò nell’apprendere la notizia che aspettava da 60 anni. 23 galee inviate dalla regina Giovanna di Napoli, dai Veneziani, dai Genovesi e dai Pisani raggiunsero Marsiglia per far la scorta al Papa nel suo rientro a Roma. Esattamente cinque anni dopo la sua elevazione al soglio pontificio, il 30 aprile 1367, si imbarcò con tutta la curia, su una vera flotta di galere alla volta di Roma. Dopo una sosta a Genova, il papa pprodò a Corneto, sulla costa laziale, il 3 giugno. Ad attenderlo c’erano il cardinale Gil Álvarez Carrillo de Albornoz, tutti i grandi dello Stato Pontificio e una moltitudine di popolo, che da giorni aveva dormito in spiaggia per non perdersi lo storico avvenimento. Appena giunto a terra Urbano celebrò la Messa; l’indomani, giorno della Pentecoste, ne celebrò un’altra, ricevendo tutti i rappresentanti della città di Roma, poi si diresse a Viterbo, dove avrebbe dovuto fare solo una breve sosta prima di raggiungere la città eterna. A Viterbo però il cardinale Albornoz, braccio destro di Urbano in Italia, cessò di vivere, forse colpito dalla peste o da una febbre malarica. Dopo quattordici anni passati in Italia con lo scopo di rimettere un papa sulla cattedra di San Pietro, non riuscì a vedere il compimento della sua opera. Così, solo il 16 ottobre 1367 Urbano si decise ad abbandonare Viterbo per fare il suo trionfale ingresso a Roma. Più che alla restaurazione delle cose materiali il santo pontefice badò alla ricostruzione spirituale della Chiesa, promuovendo l’unità tra i cristiani, che parve attuarsi con l’unione della Chiesa greca a quella latina nel 1369. Purtroppo la pacificazione degli animi negli Stati pontifici durò poco, e il 7 aprile 1370 Urbano V lasciava nuovamente Roma per tornare ad Avignone, nonostante le suppliche le esortazioni di tanti, tra cui santa Brigida di Svezia, si recò personalmente a Montefiascone, gli predisse che sarebbe morto entro poco tempo, se fosse tornato ad Avignone. Ma Urbano non si lasciò smuovere dalla decisione presa e il 5 settembre 1370, in quello stesso porto di Corneto dov’era approdato tre anni prima, s’imbarcò con tutta la sua corte sulle navi inviategli dai re di Francia e d’Aragona, dalla regina di Napoli e di Pisa. Il 16 dello stesso mese sbarcò a Marsiglia, il 24 fece il suo solenne ingresso in Avignone. Ma nemmeno due mesi dopo si ammalò gravemente. Morì, infatti, il 19 dicembre 1370.