a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 25 gennaio si celebra la Conversione di san Paolo, è un evento descritto negli Atti degli Apostoli che segna l’adesione al cristianesimo di Saulo o Paolo di Tarso, uno dei più agguerriti avversari della religione cristiana appena sorta. Egli perseguitava i seguaci di Cristo in modo assiduo ed il viaggio che aveva intrapreso per Damasco aveva appunto lo scopo di smascherare e imprigionare gli adepti della nuova fede. Tradizionalmente l’adesione di Paolo al movimento cristiano viene indicata con il termine “conversione”. L’evento è descritto esplicitamente negli Atti degli Apostoli e accennato implicitamente in alcune lettere paoline. In Atti 9,1-9 c’è la descrizione narrativa dell’accaduto, che è raccontato nuovamente dallo stesso Paolo con lievi variazioni sia al termine del tentativo di linciaggio a Gerusalemme (At 22,6-11), sia durante la comparizione a Cesarea davanti al governatore Porcio Festo e al re Marco Giulio Agrippa II (At 26,12-18). La tradizione artistica successiva ha immaginato la caduta a terra come una caduta da cavallo ma il particolare è assente da tutti e tre i racconti, sebbene rimanga possibile e verosimile poiché l’evento si verificò durante il viaggio. Proprio mentre si stava recando a Damasco fu avvolto da una luce ed udì una voce che gli disse «Saulo, Saulo, perché i perseguiti!». La voce era quella di Gesù che si domandava il perché di tanto accanimento. Saulo si accasciò a terra quando si rialzò ed aprì gli occhi si rese conto di essere diventato cieco. La voce gli aveva anche intimato di proseguire verso la città. Così Saulo fece: si recò a Damasco dove rimase per tre giorni. Allora il Signore andò in sogno ad Anania, un cristiano che viveva in città, e gli disse di andare da Saulo e di guarirlo dalla sua cecità. Anania conoscendo l’ostilità di quell’uomo per i cristiani chiese a Gesù perché avrebbe dovuto salvarlo ed egli gli rispose: «Va, perché io ho scelto quest’uomo. Egli sarà utile per farmi conoscere agli stranieri, ai re e ai figli di Israele. Io stesso gli mostrerò quanto dovrà soffrire per me». Anania così obbedì al suo Dio e si recò da Saulo, impose le mani sui suoi occhi ed egli recuperò la vista. Riprese le forze e fu battezzato alla religione di Gesù con il nome di Paolo (At 9,10-19; 22,12-16). Gli accenni generici alla conversione contenuti in alcune lettere paoline non descrivono esplicitamente l’evento come in Atti, ma si riferiscono genericamente a una maturazione ed evoluzione interiore di Paolo: Galati 1,11-17; Filippesi 3,3-17; 1 Timoteo 1,12-17; Romani 7,7-25. Anche in questi passi non è usato il termine “conversione” (il testo non usa mai il termine metànoia, cioè conversione), ma i generici chiamata, scelta, conquista.
25 gennaio: sant’Artema di Pozzuoli, qualche decennio prima che san Gennaro, vescovo di Benevento e patrono di Napoli, subisse il martirio a Pozzuoli; in questa città ad Ovest di Napoli, antico centro greco e poi porto romano, nacque e visse la sua breve vita, nel III secolo, il giovane Artema. Nato da nobili e cristiani genitori e avviato agli studi letterari, si distingueva per l’acutezza dell’ingegno, al punto che il suo maestro, certo Cathigate, lo nominò capo degli studenti e suo collaboratore. Il giovane Artema era cristiano e approfittò della sua carica fra gli studenti, per tentare di condurre a Cristo i suoi compagni; i compagni andarono per accusarlo di proselitismo da Cathigate. Questi chiamò il ragazzo e lo invitò ad abbandonare la religione cristiana, ma non vi riuscì, anzi il giovane difese brillantemente le sue convinzioni in materia di fede. Artema venne condotto, con l’accusa di proselitismo, davanti al prefetto di Pozzuoli (Puteoli) che lo condannò ad essere ucciso dai suoi stessi compagni a colpi di stilo, lo strumento che utilizzavano per scrivere sulle tavolette cerate. Il martirio avvenne il 25 gennaio di un anno non conosciuto, ma compreso fra la fine del III secolo e l’inizio del IV secolo. I puteolani seppellirono di notte il corpo martoriato di Artema in luogo detto Campana, distante da Pozzuoli tre miglia.
25 gennaio: sant’Anania di Damasco, personaggio del Nuovo Testamento, martire, discepolo di Gesù. Abitante di Damasco, il Signore, apparendogli, lo inviò a battezzare san Paolo, a cui era apparso sul cammino verso quella città. Le poche notizie certe sulla vita di Anania sono desunte dagli Atti degli Apostoli (9,10-19; 12,12-16). Anania fu, dunque, quel giudeo credente in Cristo che ricevette in visione dal Signore l’incarico di recarsi da Paolo “nella casa di Giuda”, “nella strada chiamata Diritta” per imporgli le mani e fargli recuperare la vista (At 9,10-11); Anania si mostra restio a causa della cattiva fama di Saulo e del fatto che reca con sé le autorizzazioni ad arrestare quanti invocano il nome di Gesù (At 9,13-14). Il Signore stesso rassicura Anania, delineando i tratti fondamentali della vocazione missionaria di Paolo (At 9,15-16). Allora Anania si reca da lui, e gli impone le mani perché sia pieno di Spirito Santo: a Saulo cadono come delle squame dagli occhi, si alza e viene battezzato (At 9,18). Se consideriamo che la conversione di Saulo avvenne nel 34 o, al più tardi, nel 36, dobbiamo concludere che Anania si convertì al cristianesimo alla prima ora; dal racconto di Paolo si può rilevare che egli era un importante personaggio della Chiesa di Damasco, anche se probabilmente non ne fu il vescovo. Una tardiva tradizione bizantina annovera Anania tra i settanta discepoli, e ce lo presenta come primo vescovo di Damasco ed evangelizzatore di Eleutheropolis (attuale Bet-Djibrin) nella Palestina meridionale, e afferma che subì il martirio, prima fustigato e poi lapidato, il 10 ottobre 70 d.C., per ordine di Licinio (o Luciano).