Oggi 6 febbraio la chiesa celebra sant’Alfonso Maria Fusco, nacque ad Angri (Salerno) il 23 marzo 1839, da una famiglia profondamente religiosa. La sua nascita era stata molto desiderata ed attesa dai genitori. I giovani sposi desideravano tanto un figlio e dopo 4 anni di matrimonio non avevano ancora avuto la gioia di una gravidanza, essi si recarono a Pagani per chiedere l’intercessione di sant’Alfonso Maria dei Liguori. Aveva un carattere mite ed era molto sensibile ai poveri e alla preghiera. Ricevette la Prima Comunione all’età di 7 anni e, poco dopo, anche la Cresima. Manifestò ai genitori la sua vocazione all’età di 11 anni. Il 5 novembre 1850 entrò nel seminario vescovile di Nocera dei Pagani. Fu ordinato sacerdote il 29 maggio 1863. Fin dagli anni del seminario desiderava fondare un orfanotrofio maschile e femminile, per occuparsi di tutti i bambini poveri e abbandonati che non potevano contare su nessuna guida, né culturale né spirituale. Un primo passo verso la realizzazione del sogno si ha nel 1870 anno in cui, sfidando i molti pregiudizi, Alfonso apre le porte della casa paterna per accogliere ed istruire gli orfani. Diede vita ad una piccola scuola elementare gratuita. Era nata ad Angri la prima scuola per i figli del popolo, primo luogo di educazione cristiana e culturale accessibile a tutti. Grazie all’incontro con la nobildonna Maddalena Caputo, una giovane di Angri che desiderava consacrare la sua vita al Signore per aiutare i bambini più bisognosi di Angri, unirono le loro forze per la realizzazione del sogno comune e il 26 settembre 1878 fondò l’Ordine delle Suore Battistine del Nazareno, che in seguito avrebbe preso il nome di suore di San Giovanni Battista, in onore del patrono di Angri. Il 2 agosto del 1888 l’istituto venne approvato dal vescovo di Nocera e Maddalena Caputo ne fu la prima superiora. Il 29 settembre 1889 don Alfonso fondò l’istituto educativo denominato Opera degli Artigianelli, per aiutare concretamente i ragazzi, facendo loro imparare un mestiere e garantendo loro un posto di lavoro. L’amore di Alfonso Maria non si limita ai giovani, ma raggiunse tutte le categorie di persone bisognose d’amore e carità. Morì ad Angri il 6 febbraio 1910 per morte naturale.
6 febbraio: san Guarino di Palestrina, nacque a Bologna nel 1080, dalla nobile famiglia bolognese dei Guarini. Ben educato ed istruito, amava in particolare la letteratura. Di carattere riflessivo e riservato, dedicava una parte importante della giornata alla preghiera. La vocazione religiosa, coltivata nel suo animo fin da fanciullo, incontrò l’opposizione dei genitori che riuscì poi a superare. Ordinato sacerdote, a 24 anni, rinunciò ai privilegi del casato destinò i suoi beni alla costruzione di un ospedale e poi decise di seguire la Regola di Sant’Agostino divenendo Canonico Regolare Lateranense, nel convento di Santa Croce in Mortara. Nella vita comunitaria si distinse per l’obbedienza, eccellendo in sapienza e dottrina. Visse in grande austerità, suscitando l’ammirazione sia del clero che del popolo. Tratto caratteristico della sua persona era la bontà. Nel 1139, a 59 anni fu designato, a furor di popolo, alla cattedra vescovile di Pavia, ma lui fuggì, giudicandosi indegno. Le sue rimostranze furono inutili tanto che scappò, si dice dalla finestra della sua cella, nascondendosi, fino a quando fu eletto un altro prelato. Nel 1144, arrivò la nomina a vescovo di Palestrina (antica Preneste), da papa Lucio II (Gerardo Caccianemici), dove fu una guida saggia e umile per il popolo per 13 anni, continuando, nel privato, l’austera vita monacale. Si distinse anche qui per la generosità: tutto il denaro derivante dalla nuova carica, compresi i doni del Papa, furono venduti e il ricavato distribuito ai poveri. Aveva 78 anni quando un giorno, sentendosi prossimo a morire, convocò tutto il clero al suo capezzale. Spirò dopo aver esortato all’amore vicendevole e al pensiero della salvezza eterna. Morì il 6 febbraio 1158.
6 febbraio: santa Dorotea, nacque a Cesarea (Palestina) nel 290 circa d.C., da una famiglia cristiana benestante. Fin da bambina si distingue per le opere di carità, per la straordinaria saggezza e purezza di cuore. La sua storia è narrata in una Passio del Martirologio Geronimiano, molto antica, insieme a san Teofilo, con cui condivise l’esperienza di fede. Al tempo di Dorotea, vi era in Cesarea un persecutore di cristiani, Sapricio, il quale, venuto a sapere che Dorotea era seguace di Cristo, la convocò per esortarla a offrire sacrifici agli dèi. Di fronte al rifiuto fermo e ripetuto di Dorotea, la fece legare a una catasta minacciandola di farla morire tra le fiamme se non avesse rinnegato la fede. Vedendo che Dorotea non dimostrava alcun timore di finire tra le fiamme, Sapricio la fece togliere dalla catasta e la inviò a due ragazze che avevano rinnegato la fede (apostate), una si chiamava Crista e l’altra Callista, nomi entrambi che testimoniavano che le due sventurate erano state cristiane. L’effetto che Sapricio sperava era che le due esortassero Dorotea a offrire sacrifici agli dèi, descrivendole le pene atroci di una morte così violenta. Al contrario Crista e Callista furono di nuovo convertite alla fede dalle parole persuasive di Dorotea, la quale ripeteva che la fede cristiana era l’unica che dava la salvezza eterna. Così, quando Sapricio chiese conto a Crista e a Callista del loro operato, esse con coraggio professarono di nuovo la fede cristiana. Andato su tutte le furie l’aguzzino fece preparare un grande fornace con un fuoco tremendo e vi fece gettare le due sorelle e queste vi morirono testimoniando la loro fede. Questa volta il tiranno non si limitò a minacciare Dorotea, ma la sottopose a numerosi tormenti: le lacerò le giunture delle ossa stirandola con le corde, le fece bruciare i fianchi con le torce accese, ma Dorotea manteneva la sua serenità, la sua compostezza e il suo sorriso. Al colmo del furore Sapricio ordinò che le dessero numerose percosse sul volto, affinché sparisse quel sorriso che tanto lo irritava. Alla fine furono tutti stanchi di quell’incrollabile tranquillità e i giudici emisero la sentenza di morte per decapitazione, cosa che la fanciulla accolse con gioia, ringraziando Cristo. Mentre veniva portata al martirio passò accanto al giudice Teofilo il quale era stato presente quando Dorotea diceva a Sapricio che il suo sposo era in cielo e come lassù i giardini erano pieni di fiori e di frutti, questi subito si mise a deriderla, tanto che le disse ironicamente: «Sposa di Cristo, mandami delle mele e delle rose dal giardino del tuo sposo». Dorotea rispose che avrebbe soddisfatto la sua richiesta anche se provocatoria. Prima di essere decapitata, Dorotea chiese di poter pregare. Finita l’orazione, ecco giungere un angelo nelle sembianze di un fanciullo che portava un cesto con tre mele e tre rose, che offrì a Teofilo. Allora Dorotea reclinò il capo, che le fu reciso con un colpo di spada, era il 6 febbraio 311. Tanto fu edificante la morte di Dorotea, preceduta da quell’evento prodigioso, che il giudice Teofilo proclamò la sua conversione alla fede di Cristo. Per questo suo “tradimento”, anche lui fu condannato alla pena capitale mediante decapitazione; patrona dei fioristi.
6 febbraio: santi Paolo Miki e compagni martiri di Nagasaki, nacque a Kyōto (Giappone) nel 1556, da una ricca famiglia e viene battezzato a 5 anni. Paolo entra in un collegio della Compagnia di Gesù, e a 22 anni è novizio: così, diventa il primo giapponese accolto in un ordine religioso cattolico e il primo gesuita. Eccelle in tutto, tranne che nel latino: è troppo lontano dal suo modo di parlare e di pensare. La religiosità orientale, invece, è il suo ambito prediletto: ne diviene un esperto, e per questo è destinato alla predicazione, che comporta il dialogo con sapienti buddisti. Se la cava bene, e ottiene conversioni; ma, più che le parole, è il suo animo affettuoso a essere efficace. Non poté essere ordinato sacerdote a causa dell’assenza di un vescovo in Giappone. Paolo per anni percorre continuamente il Paese. E nel 1582-84 avviene la prima visita a Roma di una delegazione giapponese, autorizzata dallo «daimyō» (capo militare e politico) Toyotomi Hideyoshi, accolta da papa Gregorio XIII. Ma proprio Hideyoshi rovescia successivamente la politica verso i cristiani: si fa persecutore, per una serie di motivi: la paura che il cristianesimo minacci l’unità nazionale, già indebolita dai feudatari; il comportamento arrogante e intimidatorio di marinai cristiani (spagnoli) giunti in Giappone; e poi contrasti tra gli stessi missionari dei vari Ordini in terra giapponese. Questo clima di tensioni e di diffidenze porterà a spietati eccidi di cristiani nel secolo successivo. Ma già al tempo di Hideyoshi si concretizza una prima persecuzione locale. L’ostilità antieuropea raggiunse il suo culmine nel 1596, quando si scatenò una persecuzione contro gli occidentali, quasi tutti religiosi, e i cristiani, considerati traditori. Vi rimane coinvolto Paolo, che viene arrestato nel dicembre dello stesso anno a Osaka. In prigione incontra tre gesuiti, sei francescani missionari spagnoli e diciassette giapponesi terziari francescani. Verranno crocifissi tutti insieme, sulla collina di Tateyama, nei pressi di Nagasaki. Prima di subire il martirio, tiene l’ultima predica, esortando tutti a seguire la fede in Cristo. Poi, perdona i carnefici. Andando a morire, ripete le parole di Gesù in croce: «In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum»; le pronuncia proprio in quel latino che da giovane imparava con fatica. Morì a Nagasaki il 5 febbraio 1597.