a curadi don Riccardo Pecchia
Oggi 30 giugno la chiesa celebra i primi martiri di Roma, la ricorrenza dei Primi martiri della Chiesa romana commemora i santi rimasti senza nome, i quali morirono atrocemente a causa della persecuzione scatenata dall’imperatore Nerone a Roma, la persecuzione seguì quasi immediatamente all’incendio di Roma, scatenatosi nella notte del 18 luglio 64 d.C. e fu un’iniziativa dell’imperatore, il quale tentò di utilizzare questa mossa sanguinaria per allontanare da sé l’ira del popolo, per cercare di discolparsi. Nerone scaricò sui seguaci di Cristo le colpe che lo mettevano in cattiva luce di fronte ai suoi sudditi, accusandoli di qualsiasi calamità avventatasi su Roma, le conseguenze del suo vile gesto furono atroci per i cristiani e perdurarono per ben quattro anni. Ai tempi di Nerone, a Roma, accanto alla comunità ebraica, viveva quella esigua e pacifica dei cristiani. Su questi, poco conosciuti, circolavano voci calunniose, perché dava fastidio il loro aperto rifiuto delle divinità pagane, gelose e vendicative, come spiega bene lo storico Tertulliano: «I pagani attribuiscono ai cristiani ogni pubblica calamità, ogni flagello. Se le acque del Tevere escono dagli argini e invadono la città, se al contrario il Nilo non rigonfia e non inonda i campi, se vi è siccità, carestia, peste, terremoto, è tutta colpa dei cristiani, che disprezzano gli dei, e da tutte le parti si grida: i cristiani ai leoni!». Nerone ebbe la responsabilità di aver dato il via all’assurda ostilità del popolo romano, peraltro molto tollerante in materia religiosa, nei confronti dei cristiani: la ferocia con la quale colpì i presunti incendiari non trova neppure la giustificazione del supremo interesse dell’impero. Episodi orrendi come quello delle fiaccole umane, cosparse di pece e fatte ardere nei giardini del colle Oppio o come quello di donne e bambini vestiti con pelle di animali e lasciati in balia delle bestie feroci nel circo, altri cristiani vennero invece crocifissi o ancora decapitati, tali nefandezze destarono un senso di pietà e di orrore nello stesso popolo romano. Scrive Publio Cornelio Tacito: «Allora si manifestò un sentimento di pietà, pur trattandosi di gente meritevole dei più esemplari castighi, perché si vedeva che erano eliminati non per il bene pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di un individuo». Tra i martiri più illustri vi furono il principe degli apostoli, Pietro, crocifisso nel circo neroniano, dove sorge la basilica di San Pietro, e l’apostolo dei gentili, Paolo, decapitato alle Acque Salvie e sepolto lungo la via Ostiense.
30 giugno: sant’Adolfo di Osnabrück, nacque a Tecklenburg (Germania) nel 1185, da una nobile famiglia. Da ragazzo fu mandato a studiare nel monastero cistercense di Altenkamp, dove rimase scosso e ammirato della loro penitenza, e, sentendosi attratto alla vita monastica, chiese e ottenne di restare nel monastero e pronunciò i voti religiosi. Fu ordinato sacerdote e divenne canonico del capitolo dell’arcidiocesi di Colonia, ma volle tornare nel monastero. Poco dopo, però, sia a causa dei suoi illustri natali sia anche per la fama della sua virtù, nel 1217 Adolfo fu eletto vescovo di Osnabruck, ma dovette attendere che la sua elezione fosse ratificata da papa Onorio III che in un primo momento la rifiutò, chiedendo che fosse ripetuta. Il 24 settembre 1217 venne ordinato vescovo dall’arcivescovo di Colonia Engelberto di Berg. Adempì al suo ministero episcopale con estrema modestia, umiltà e disponibilità, continuando a seguire la regola di san Benedetto. Impiegò il danaro proveniente dalle rendite dei suoi possedimenti per beneficiare i poveri ed aiutare i malati. Tanto che i benedettini lo ricordano con il titolo di Elemosiniere dei poveri. Divenne ricercato da tutti per la sua bonomia. Si occupò personalmente dei lebbrosi. Si racconta che un giorno si dedicò molto a un lebbroso, perciò i preti che lo accompagnavano, per paura di ammalarsi, a sua insaputa condussero il lebbroso in una casa sperduta, ma il giorno dopo Adolfo trovò subito la casa e vi entrò restandovi a lungo, quelli che lo accompagnavano, incuriositi, entrarono dentro e trovarono Adolfo sdraiato sullo stesso letto del lebbroso che nel frattempo era guarito. Attivo e sollecito della vita spirituale della diocesi, si interessò dei monasteri compresi nella sua giurisdizione e riformò le dame regolari di Herzebrack, sottoponendole alla regola benedettina. Morì il 30 giugno 1224.
30 giugno: san Marziale di Limoges, nacque a Limoges (Francia) nel III secolo. Le sue notizie ci vengono da san Gregorio di Tours, che narra che fu inviato da san Pietro stesso a evangelizzare tutta l’Aquitania. Fu padre spirituale di santa Valeria. Nelle leggende riportate dal vescovo Aureliano, suo successore, nella Vita sancti Martialis, si narra di suoi stravaganti miracoli. Secondo tale racconto Marziale era figlio di Elisabetta e di Marcello, appartenenti alla tribù di Beniamino in Galilea. A 15 anni sarebbe stato battezzato direttamente da san Pietro e sarebbe stato uno dei 72 discepoli di Cristo; assistette alla resurrezione di Lazzaro e all’ultima cena. Avrebbe seguito Pietro sia a Gerusalemme sia a Roma dove avrebbe vissuto nelle catacombe assieme a Paolo, Luca e Giovanni. Pietro lo avrebbe poi inviato in Aquitania, a Limoges, per evangelizzare quelle terre. Durante il viaggio che compiva assieme ad Amatore, Alpiniano e Austricliniano, si fermò a Gracciano d’Elsa, nei pressi di Colle di Val d’Elsa dove convertì gli abitanti. Qui però Austricliniano morì e Marziale tornò a Roma da Pietro per dargli la notizia. Pietro consegnò quindi a Marziale il proprio pastorale che avrebbe dovuto adagiare sul corpo del defunto affinché si svegliasse. Marziale obbedì al papa e tornato a Gracciano, sollevò la pietra tombale e depose il pastorale sul corpo di Austricliniano che si risvegliò. Con i suoi compagni riprese quindi il viaggio compiendo la missione affidatagli da Pietro. Ritornato a Limoges fu incarcerato, ma liberato per intervento divino; invocato contro le epidemie.
30 giugno: beato Gennaro Maria Sarnelli, nacque a Napoli il 12 settembre 1702, da una famiglia nobile. All’età di 14 anni, in seguito alla beatificazione di Francesco Regis, manifestò la sua volontà di diventare un padre gesuita, ma il padre lo dissuade ritenendolo troppo giovane, e Gennaro intraprende gli studi di giurisprudenza, che termina prendendo il dottorato in diritto ecclesiastico e civile nel 1722. Esercitò la professione fino all’anno 1728 insieme all’avvocato sant’Alfonso Maria de’ Liguori, che conobbe frequentando il casale di Chiaiano dove la sua famiglia aveva notevoli possedimenti il quale casale era contiguo a quello di Marianella luogo natio di Alfonso Maria de’ Liguori, con il quale condivideva la passione per il servizio agli ammalati nell’Ospedale di Santa Maria del Popolo, detto anche «degli Incurabili». È qui che Gennaro si sente chiamato al sacerdozio dal Signore. Verso la fine del 1728 abbandonò la professione di avvocato ed iniziò il suo cammino di avvicinamento alla chiesa cattolica. Nel mese di settembre dello stesso anno diventò seminarista presso la Chiesa napoletana, all’interno della quale venne incaricato di svolgere le mansioni di chierico nella parrocchia di Sant’Anna di Palazzo. Negli anni successivi iniziò gli studi che lo portarono al noviziato nella Congregazione delle Missioni Apostoliche, conclusosi con esito positivo il 28 maggio 1731. Durante tutti questi anni, oltre alle visite all’ospedale, si dedica ad aiutare i bambini costretti a lavorare, insegnando loro il catechismo. Visita gli anziani nell’Ospizio di San Gennaro ed i galeotti malati che giacciono nell’ospedale del porto. Fu ordinato sacerdote l’8 luglio 1732. Dopo l’ordinazione, venne assegnato come responsabile della catechesi nella parrocchia dei Santi Francesco e Matteo a Napoli, nel quartiere spagnolo. Quando si accorge della corruzione che imperversa fra le giovanette, decide di spendere tutte le sue energie all’opera di recupero e prevenzione contro la prostituzione tra le giovani ragazze. Nello stesso periodo, nel 1733, difende sant’Alfonso dalle ingiuste critiche subite da quest’ultimo dopo la fondazione, il 9 novembre 1732, della Congregazione missionaria del Santissimo Redentore in Scala (Salerno); Nel mese di giugno dello stesso anno, dopo essere andato a Scala per aiutare l’amico durante una missione a Ravello, decide di diventare Redentorista pur continuando ad essere membro delle Missioni Apostoliche. Dal giorno del suo ingresso nella Congregazione, nell’aprile del 1736, si impegnerà senza risparmio, nelle missioni parrocchiali e scrivendo a difesa delle “giovanette in pericolo”. Scrive anche sulla vita spirituale e si affatica tanto da giungere fino alla soglia della morte. Con il consenso di sant’Alfonso torna a Napoli per farsi curare e lì rinnova il suo apostolato per salvare le prostitute. Tra le altre attività portate avanti dal Sarnelli, dall’anno 1736, vi sono iniziative a favore dei “facchinelli»”, cioè i minori sfruttati per il lavoro, la fondazione della casa redentorista di Villa Liberi (Caserta), campagne contro l’abuso dell’utilizzo della bestemmia, la divulgazione della religione fra i laici, la formazione spirituale dei fanciulli e una missione permanente all’interno dei sobborghi napoletani. Nel 1741 pianifica e partecipa alle grandi missioni predicate nei sobborghi di Napoli in preparazione alla visita canonica del cardinal Giuseppe Spinelli. Malgrado il suo stato di salute permanentemente cagionevole continua a predicare fino alla fine di aprile 1741 quando, ormai molto malato, torna a Napoli. Morì il 30 giugno 1744, a 42 anni.