a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 8 settembre la chiesa celebra Natività della Beata Vergine Maria è una festa liturgica della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa che ricorda la nascita di Maria. Secondo la tradizione tramandata dal Protovangelo di Giacomo, uno dei vangeli apocrifi del II secolo, ci ha trasmesso i nomi dei genitori di Maria, Gioacchino e Anna, che la Chiesa ha iscritto nel calendario liturgico. Gioachino e Anna, i genitori di Maria, sposati ormai da vent’anni, si ritrovarono senza prole. Gioacchino un giorno si rifugiò nel deserto, per implorare da Dio la grazia. Per Anna, donna pia e colta che conosceva le Sacre Scritture, la scomparsa del marito fu causa di grande sofferenza. Anche lei piangeva e pregava. Un giorno le apparve un angelo dicendole: «Il Signore ha esaudito la sua preghiera. Concepirai e partorirai e si parlerà della sua discendenza per tutta la terra. Tuo marito sta tornando dal deserto». Infatti, anche a Gioachino era apparso un angelo che gli aveva fatto lo stesso annuncio. Anna gli andò incontro alla Porta Aurea, simbolo della Ianua Coeli (porta del cielo) che, per merito della Madre di Gesù, sarebbe stata riaperta all’umanità. Nove mesi dopo nacque Maria. Nella tradizione cattolica la festa è celebrata in tante località. Nella tradizione agricola il ricordo della nascita di Maria coincide con il termine dell’estate e dei raccolti. Molte chiese hanno come titolo la Natività di Maria. Come quasi tutte le feste principali di Maria anche la Natività è di origine orientale; è stata introdotta nella chiesa d’Occidente dal papa orientale Sergio I alla fine del VII secolo, quando stabilì che l’8 settembre si dovesse celebrare la festa con la processione dalla Chiesa di sant’Adriano al foro fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore. Originariamente doveva essere la festa della dedicazione dell’attuale Basilica di sant’Anna in Gerusalemme. La Tradizione infatti indicava quel luogo come la sede dell’umile dimora di Gioacchino ed Anna, lontani discendenti di Davide, genitori di Maria santissima.
8 settembre: san Sergio I, 84º Papa della Chiesa cattolica; nacque a Palermo nel 650, da una famiglia oriunda di Antiochia (Turchia). Fu da giovane annesso al clero romano, quindi ordinato prete del titolo di Santa Susanna sul Quirinale da papa Leone II. Come nel caso del predecessore papa Conone, anche la sua elezione fu contrastata, avendo una fazione a lui avversa votato per l’arcidiacono Pasquale, sostenuto dall’esarca bizantino Giovanni II Platino in cambio di denaro, ed un’altra l’arciprete Teodoro, appoggiato da una parte del popolo romano. Già durante il pontificato di papa Conone, infatti, Pasquale si era rivolto all’esarca promettendogli cento libbre d’oro in cambio del sostegno alla successiva elezione pontificia. Le due distinte elezioni nominarono dunque altrettanti papi. La situazione non era sostenibile, e un’assemblea di esponenti del clero romano, dell’amministrazione civile di Roma e dell’esercito, designò all’unanimità il presbitero Sergio, mentre Teodoro accettò suo malgrado l’elezione di Sergio, Pasquale si oppose decisamente e, forte del patto stretto con l’esarca, lo mandò a chiamare per risolvere il problema in suo favore. Giovanni si precipitò a Roma per deporre Sergio ma, constatato il favore di cui godeva costui, e la posizione di assoluta minoranza di Pasquale, abbandonato anche da chi inizialmente lo aveva sostenuto, dopo essersi comunque fatto consegnare da Sergio il compenso pattuito in precedenza con Pasquale, ne approvò l’elezione e tornò a Ravenna. Sergio fu consacrato il 15 dicembre 687; uomo di cultura, che aveva percorso tutta la carriera ecclesiastica, fin dall’inizio si dimostrò piuttosto energico, e infatti si oppose alla richiesta dell’imperatore Giustiniano II, di avallare con la sua firma le 102 disposizioni tratte dalle conclusioni del II concilio Trullano detto anche Quinisesto, da lui convocato nel 692 senza l’approvazione del papa e senza invitare i vescovi dell’Occidente, che prevedeva norme ritenute pericolose per le istituzioni ecclesiastiche, come l’abolizione del celibato per il clero e l’attribuzione alla Chiesa di Costantinopoli delle stesse prerogative di quella di Roma. Per reazione l’imperatore inviò a Roma una delegazione armata, agli ordini del protospatario Zaccaria, per estorcere la firma del papa sotto le deliberazioni del concilio, e in caso di rifiuto di arrestarlo e trasferirlo a Costantinopoli, come era già accaduto per papa Martino I. Non solo il popolo e la milizia di Roma, ma anche quelli delle regioni vicine e di Ravenna, si risentirono e accorsero a protezione del papa. Mentre anche l’esercito di Ravenna entrava da Porta San Paolo, Zaccaria si rifugiò nel Palazzo del Laterano e, secondo la tradizione, si nascose nell’appartamento pontificio e sotto il letto del papa. Fu lo stesso Sergio a tranquillizzarlo ed a consentirgli di abbandonare il palazzo e Roma, insieme alle sue truppe, senza che gli fosse fatto alcun male. Sotto il suo pontificato si pose fine allo scisma dei Tre Capitoli, che da oltre un secolo aveva tenuto separate da Roma le diocesi dell’Italia nord-orientale, della Dalmazia e dell’Illirico, riammettendo nel 700 la diocesi di Aquilea che si era staccata da Roma fin dal 553. A lui si deve, inoltre, cantore eccellente, l’introduzione dell’Agnus Dei nel rito della Messa. Arricchì le grandi feste della Beata Vergine Maria (Annunciazione, Dormitio, Natività e Purificazione) con solenni processioni; sembra che abbia anche istituito la festa dell’Esaltazione della Croce. Con i proventi delle ricche donazioni elargite da penitenti e pellegrini (anche di rango regale) che giungevano a Roma, fece restaurare ed abbellire numerose chiese in Roma, fra le quali quella di Santa Susanna, di cui era stato titolare, e realizzò il monumento sepolcrale di san Leone Magno, il primo di quel genere ad essere ospitato all’interno della Basilica di San Pietro. Morì l’8 settembre 701.
8 settembre: san Tommaso da Villanova (al secolo Tomás García Martínez), nacque a Fuenllana (Spagna) nel 1486, da genitori religiosi e caritatevoli dai quali ereditò uno sviscerato amore per i poveri, fino a meritarsi un giorno di essere chiamato Santo Elemosiniere e Padre dei Poveri. Da Villanueva de los Infantes, città dove andò a vivere la famiglia e dalla quale prenderà poi il nome, a soli 15 anni fu mandato a studiare all’Università di Alcalá de Henares dove, nel 1509, ottenne il titolo di maestro di logica, fisica e metafisica. Per tre anni seguì il corso di teologia, interrompendolo per reggere la cattedra di logica. I 15 anni di permanenza ad Alcalà imprimeranno una profonda impronta umanistica al resto della sua vita. Nel 1516 va a Salamanca per professare nell’Ordine di Sant’Agostino (agostiniani). Riceve il sacerdozio nel 1518, a 32 anni. I superiori ben presto scoprono le sue doti. Gli incarichi si succedono ininterrottamente: Priore di Salamanca, Visitatore della provincia di Castiglia, Provinciale di quella andalusa, Priore di Burgos, Provinciale di Castiglia. A Valladolid lo stesso imperatore Carlo V si recava ad ascoltarlo, che nutre per lui una predilezione tale da considerarlo una delle persone chiave nella riforma dei suoi regni, lo nomina suo predicatore e consigliere e, rimasta vacante la sede di Valencia, lo presenta come Arcivescovo di quella città, ufficio che ricoprì per undici anni, fino alla morte. Valencia si trovava in una condizione spirituale deplorevole: più di un secolo senza un vescovo residente, molti chierici in situazione irregolare, moreschi agitati. Tommaso, per prima cosa, dirige i suoi sforzi alla ricristianizzazione della diocesi. Fece preparare dei catechismi essenziali per l’istruzione della gioventù ed egli stesso istruiva con dolcezza e affabilità le persone rozze e ignoranti. Soccorreva le fanciulle in difficoltà, donando loro una dote adeguata per il matrimonio. Visitava e assisteva gli ammalati con cura materna. Manteneva a sua spese un farmacista, due medici e un chirurgo per la loro cura gratuita poveri, dal momento che a quel tempo c’era un esteso proletariato clericale bisognoso di assistenza. Aveva un’attenzione particolare per i peccatori, esortandoli alla conversione; alle parole faceva seguire le preghiere, i digiuni e le penitenze, per ottenere il ravvedimento. Difese la diocesi dalla minaccia turca. Prima di morire, ordinò che si distribuisse ai poveri tutto il denaro che si trovava in casa e si vendessero i mobili. Per lui riservò solo un giaciglio, che, dopo la morte, fu consegnato a un servo. La riuscita attività in favore del gregge che gli era stato affidato e la sua erudizione fecero di lui uno degli uomini più rispettati del tempo e l’immagine del vescovo ideale. Morì l’8 settembre 1555; patrono degli studi dell’Ordine agostiniano.
8 settembre: venerabile Carlo Carafa, nacque a Mariglianella di Nola (Napoli) nel 1561, dai nobili don Fabrizio Carafa dei duchi d’Andria e conti di Ruvo e da donna Caterina di Sangro. Rimasto orfano all’età di 5 anni, fu messo nel Collegio di Nola, della Compagnia di Gesù; nel 1578 entrò nel noviziato dei gesuiti dove fu mandato a Roma per il prosieguo degli studi. Nel 1584 dovette lasciare la Compagnia di Gesù e tornare a Mariglianella, perché ammalato di tisi; guarì dopo tre anni di cure assidue. Lasciò l’abito ecclesiastico, per la carriera militare, nella quale si distinse nel 1593 in Savoia contro i protestanti, nel 1594 nelle Fiandre contro il calvinista Enrico IV e nel 1598 da luogotenente generale in Acaia contro i Turchi, liberando la città di Patrasso. Dopo pochi mesi di vita dissipata, nel 1599 riprese gli studi ecclesiastici con i padri Gesuiti, venendo ordinato sacerdote in Napoli, il 1 gennaio 1600. Giovane sacerdote, dedicava amorevoli cure agli ammalati nell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, impegno che continuò per tutta la vita, anche se non più a tempo pieno, conobbe due sacerdoti ai quali l’arcivescovo di Napoli aveva affidato la chiesa di San Sepolcro sul monte San Martino, stabilitosi con i due confratelli in una spelonca adiacente alla chiesa, si dedicò alla evangelizzazione degli abitanti della zona, con la predicazione di missioni rurali, percorrendo a piedi i paesi e le contrade dei dintorni di Napoli, sollevando gli oppressi, istruendo gli ignoranti, confortando i moribondi, istituendo conservatori e orfanotrofi, fondando chiese e conventi in Napoli e provincia. Istituì così nel 1602, presso la Chiesa di Santa Maria Ognibene affidata a Carlo dal cardinale Gesualdo, la Congregazione della Dottrina Cristiana, che nel 1621 cambierà il nome in Congregazione dei Pii Operai, con lo scopo dell’assistenza e istruzione della gente rurale delle campagne e dei sobborghi della città, che era abbandonata. Nel 1606 costruì il Santuario della Madonna dei Monti ai Ponti Rossi in Napoli, che divenne la culla della nascente Congregazione e il noviziato dei Pii Operai. Lo sviluppo della Congregazione permise l’apertura di altre case e di chiese a loro affidate, come la chiesa di San Giorgio Maggiore in via Duomo a Napoli, Santa Maria a Castello sul Monte Somma, a Maddaloni nell’agro casertano e successivamente la chiesa di San Nicola alla Carità in via Toledo nel centro di Napoli e a Roma Santa Balbina, Santa Maria ai Monti e la costruzione di San Giuseppe alla Lungara. Nella sua molteplice attività Carlo fu Visitatore generale dell’Arcidiocesi di Napoli, evangelizzò le tribù di zingari accampati, allora come oggi, nella periferia della città, assisteva i condannati a morte; per nove anni fu rettore del Seminario arcivescovile; priore dell’Arciconfraternita della Dottrina Cristiana; cercò di istruire e convertire gli schiavi maomettani. Altro campo d’azione del suo fervore apostolico fu la conversione delle meretrici, che per accoglierle e assistere fondò il Conservatorio di Santa Maria del Soccorso. Fu l’artefice della grande processione penitenziale da lui guidata per le strade di Napoli, per impetrare la cessazione della disastrosa eruzione del Vesuvio del 1631, fu tanta la partecipazione a questa penitenza, che moltissimi peccatori si convertirono e presero a confessarsi in massa dai Pii Operai nella Chiesa di San Giorgio Maggiore, altrettanto fecero un gran numero di meretrici, per le quali fu necessario fondare un altro conservatorio detto poi dal popolo “delle Pentite”. È incredibile l’attività del venerabile Carafa, aveva tanti di quei compiti e responsabilità, che sembrava non avesse mai un momento libero; la sua vita era spesa interamente per il prossimo; fu più volte Preposito Generale del suo Ordine, ma quando nel 1633 lo volevano rieleggere, egli rifiutò, dicendo che voleva prepararsi alla morte, che profetizzò doveva avvenire in quell’anno. Morì l’8 settembre 1633, a 72 anni.