a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 27 giugno la chiesa ricorda san Cirillo d’Alessandria, nacque a Teodosia d’Egitto o ad Alessandria d’Egitto nel 370-380. Venne presto avviato alla vita ecclesiastica e ricevette una buona educazione, sia culturale che teologica. Nel 403 era a Costantinopoli al seguito dello zio Teofilo, vescovo di Alessandria, e qui partecipò al Sinodo detto ad quercum (della Quercia), che depose il vescovo della città, san Giovanni Crisostomo, segnando così il trionfo della sede alessandrina su quella, tradizionalmente rivale, di Costantinopoli, dove risiedeva l’imperatore. Alla morte dello zio, l’ancora giovane Cirillo, il 15 ottobre 412, fu eletto vescovo della Chiesa di Alessandria, che governò con grande energia per 32 anni, mirando sempre ad affermarne il primato in tutto l’Oriente, forte anche dei tradizionali legami con Roma. Qualche anno dopo, nel 417-418, Cirillo si dimostrò realista nel ricomporre la rottura della comunione con Costantinopoli, che era in atto ormai dal 406 in conseguenza della deposizione di Giovanni Crisostomo. Ma il vecchio contrasto con la sede costantinopolitana si riaccese una decina di anni più tardi, quando nel 428 fu eletto Nestorio, un monaco di formazione antiochena. Il nuovo vescovo di Costantinopoli, infatti, suscitò presto opposizioni perché nella sua predicazione preferiva per Maria il titolo di «Madre di Cristo» (Christotókos), in luogo di quello di «Madre di Dio» (Theotókos). Motivo di questa scelta di Nestorio era la sua adesione alla cristologia di tipo antiocheno che, per salvaguardare l’importanza dell’umanità di Cristo, finiva per affermarne la divisione dalla divinità. E così non era più vera l’unione tra Dio e l’uomo in Cristo e, naturalmente, non si poteva più parlare di «Madre di Dio». La reazione di Cirillo, che intendeva sottolineare l’unità della persona di Cristo, fu quasi immediata, e si dispiegò con ogni mezzo già dal 429, rivolgendosi anche con alcune lettere allo stesso Nestorio, invitandolo invano a ritrattare le proprie tesi. Nestorio e Cirillo si appellarono a papa Celestino I, che convocò un concilio a Roma, in cui Nestorio fu condannato e minacciato di deposizione se non avesse ritrattato entro 10 giorni le proprie teorie. Cirillo fu incaricato di trasmettere a Nestorio la lettera di diffida del papa, alla quale aggiunse la formula di fede approvata nel 430 in un sinodo ad Alessandria e una lista di 12 anatemi. Di fronte al mancato accordo, l’imperatore Teodosio II convocò nel 431 un concilio a Efeso. L’assemblea si concluse con il primo grande trionfo della devozione a Maria e con l’esilio di Nestorio che non voleva riconoscere alla Vergine il titolo di «Madre di Dio», a causa di una cristologia sbagliata, che apportava divisione in Cristo stesso. Dopo avere così prevalso sul rivale e sulla sua dottrina, Cirillo seppe però giungere, già nel 433, a una formula teologica di riconciliazione con gli antiocheni. Negli anni seguenti si dedicò in ogni modo a difendere e a chiarire la sua posizione teologica fino alla morte. Morì il 27 giugno 444.
27 giugno: sant’Arialdo da Cucciago, nacque a Cucciago (Como) nel 1010 circa, da una nobile famiglia. Frequentò la scuola della vicina pieve di San Vittore di Varese e poi quella presso la cattedrale ambrosiana. Terminò gli studi a Milano, viaggiò a lungo, per completare la sua formazione culturale nelle arti liberali e nelle scienze sacre fino a diventare, secondo l’espressione del tempo “artis liberae magister”. Ritornato a Milano in età già matura, venne ordinato diacono. Alla morte di Ariberto d’Intiminiano, Arialdo, insieme a Anselmo da Baggio (futuro papa Alessandro II), Landolfo Cotta, e Attone, era stato scelto da un’assemblea popolare, formata da chierici e laici, come candidato alla successione dell’arcivescovo defunto. L’imperatore Enrico III il Nero, però, preferì come arcivescovo Guido da Velate. Alcuni anni dopo, nel 1056, a Varese, Arialdo cominciò a predicare contro i mali della Chiesa, che identificava nella simonia (compravendita di cariche ecclesiastiche) e nel nicolaismo (matrimonio dei preti), la sua predicazione verteva sul tema della luce che doveva essere portata ai preti, che avrebbe dovuto lasciarsi illuminare dalla Sacra Scrittura, mentre i laici venivano illuminati dalla vita dei maestri, l’esempio dei preti, che avrebbero dovuto essere perfetti imitatori di Gesù Cristo. A partire dal 1057 fu a capo del movimento popolare poi chiamato “Patarìa”, caratterizzato dall’esigenza di una spinta moralizzatrice all’interno del clero; contro i capi patarini si levò l’arcivescovo Guido da Velate, il quale tentò invano di convincere gli agitatori a desistere dal fomentare discordie cittadine e dall’incitare i laici contro il clero, allora il clero ambrosiano si rivolse direttamente al nuovo papa Stefano IX, il pontefice ordinò all’arcivescovo di Milano di convocare un sinodo provinciale per porre fine all’agitazione religiosa. L’accusa di simonia a Guido ed ai vescovi suffraganei fu scagliata innanzi tutto come risposta alle decisioni del sinodo: gli agitatori patarini, chiamati a discolparsi, dichiararono falsi vescovi, perché eletti e consacrati simoniacamente, coloro che li avevano giudicati. Dopo il sinodo di Fontaneto, nel 1057, è da porsi il viaggio a Roma di Arialdo, dove venne accolto dal papa; questi ascoltò le sue lamentele, l’esposizione del suo operato e le accuse mosse dai patarini contro la Chiesa milanese di persistere nel disprezzo delle norme canoniche emanate da Roma; Stefano IX si astenne, dal condannare l’arcivescovo Guido, pur revocando la scomunica lanciata dal sinodo di Fontaneto. Arialdo, la cui linea di condotta non era condannata da Roma, sentendosi al sicuro dal pericolo di essere nuovamente colpito quale eretico, rafforzò la sua azione contro i chierici concubinari e simoniaci. Intanto l’arcivescovo Guido da Velate credette giunto il momento di intervenire con la forza per frenare le intemperanze dei patarini e lanciò la sospensione a divinis contro alcuni preti della canonica di Arialdo. Questi ultimi si rivolsero a Roma ed il pontefice li esortò, dopo averli prosciolti dalla sospensione, ad obbedire all’arcivescovo di Milano. Nel 1066, vennero recapitate le lettere papali di scomunica da parte di Alessandro II contro l’arcivescovo Guido da Velate, colpevole di simonia. Il 4 giugno 1066, nella cattedrale di Santa Maria Iemale, l’arcivescovo Guido, presentò la scomunica disposta dal pontefice come un insulto alla Chiesa ambrosiana, eccitò la folla contro i capi della pataria. Arialdo fu catturato dagli uomini dell’arcivescovo Guido da Velate e portato nel castello di Angera, di donna Oliva nipote di Guido da Velate, per essere interrogato, qui fu castrato, amputato della mano destra, torturato a morte e gettato nelle acque del Lago Maggiore. Morì il 27 giugno 1066.