Giovani e anoressia: il loro rapporto tra i problemi che, con sempre maggiore frequenza, affliggono adolescenti e giovani, in particolar modo il sesso femminile, figura quella condizione definita anoressia nervosa o mentale, un disturbo alimentare che porta chi ne è vittima ad una magrezza patologica e, talvolta, alla morte per inedia. Si tratta di una malattia complessa e per molti aspetti ancora misteriosa, di cui non si conoscono con esattezza le cause, anche se la maggior parte degli studiosi tende a ritenere che i motivi della malattia vadano ricercati nella sfera psicologica e sociale. Ma parliamo del rapporto che hanno i giovani con questa malattia, e non parliamo solo di donne, perché, pur in minore percentuale, colpisce anche gli uomini. Questo tipo di malattia colpisce le ragazze dell’età tra i 12-20 anni talvolta molto condizionate dalla televisione e dagli stereotipi cercano in tutti i modi di avere un fisico “perfetto”, ma non è l’unico motivo che spinge le ragazze a “rompere” il loro rapporto con la fame tanto da trasformare i loro digiuni in casi patologici e gravi. Molto spesso le giovani affette da questa malattia si chiudono a riccio, non riescono a combatterla. Studiando poi le dinamiche presenti all’ interno di famiglie con una figlia anoressica, si constata che il vero problema non sono tanto i sintomi quanto i significati che questi vengono ad assumere in ogni specifico gruppo familiare. Se presi unicamente come disturbo mentale, intrinseco all’ individuo che li presenta, porteranno alla ricerca da parte dei genitori di “che cosa si è rotto nella sua testa”. La persona in difficoltà diventa materiale di studio e di sconvolgimento degli equilibri familiari ed il suo comportamento anomalo diviene il crogiolo della sofferenza familiare e la ragione ultima dell’intervento terapeutico a cui si demanda con disperazione la soluzione di un problema complesso. Un modo differente per impostare il problema è quello di considerare la famiglia come risorsa attiva, depositaria di malesseri profondi quanto di energie vitali e risorse, talora imprevedibili. Il primo passo è allora quello di spostare l’attenzione dal rimuovere il sintomo al comprenderne i significati in ciascuna famiglia e proprio in quello specifico momento del suo ciclo vitale. “Nel mio atteggiamento terapeutico ho rivalutato la forza insita nella patologia e ho iniziato a usarla; ho voluto credere che l’anoressica non fosse l’elemento di fragilità della famiglia, anche se sembrava essere la persona che più gioca una posizione fisica di estrema debolezza” dice G., 17 anni. (Maria Colucci)